LA PIETRA VERDE DI CALABRIA

Quasi tutto il territorio calabrese appartiene al dominio geologico chiamato Arco Calabro Peloritano. Tale arco è stato interpretato dai geologi come un frammento di catena alpina, che si distingue dalle altre unità dell’Appennino meridionale essendo costituito da unità tettoniche non calcaree, bensì metamorfiche, includendo anche rocce risalenti al Paleozoico. L’interpretazione della geologia della Calabria ha da sempre rappresentato uno dei problemi più interessanti della geologia del Mediterraneo, legato probabilmente all’apertura del Tirreno, dato che nel Miocene e nel Pliocene vi furono trasgressioni marine, con l’acqua che raggiunse aree mai sommerse precedentemente. Si formarono così i bacini lacustri nelle aree depresse racchiuse tra le varie dorsali. La presenza di terrazzi marini anche a mille metri di altezza non è però da attribuire a cicli regressivo-trasgressivi ma a un generale e (geologicamente) rapidissimo innalzamento del blocco calabro, che arriva a misurare rialzi anche di 1 m/anno, oggi spiegato come un rimbalzo della placca in subduzione dovuto alla rottura della placca stessa, sia per fenomeni sismici che vulcanici. Dal punto di vista geofisico, la Calabria è un’area molto sismica e negli ultimi secoli si sono registrati numerosi terremoti anche di fortissima intensità. A questo aggiungo un’intensa attività di vulcanismo. A tal proposito, nel Mar Tirreno, a soli 15 km dalla costa tirrenica calabrese, sono stati scoperti uno dei più grandi complessi vulcanici sottomarini italiani, finora sconosciuto, sviluppatosi lungo la faglia della crosta terreste.  Rocca del Coccodrillo (Serpentino – Calabria)
ANALISI

L’analisi ha messo in evidenza la presenza di un’ampia area caratterizzata da numerosi vulcani a diverse profondità. «Il complesso vulcanico individuato nel Mar Tirreno ed è stato suddiviso in due porzioni. Una parte occidentale, più distante dalla costa, i cui edifici vulcanici presentano una morfologia accidentata e deformata da strutture tettoniche. E la parte orientale, più vicina alla costa, presenta invece edifici vulcanici arrotondati dalla sommità pianeggiante (vulcani Diamante, Enotrio e Ovidio, si trova a 15 km dalla costa della Calabria), causata dall’interazione tra vulcanismo e variazioni del livello del mare che ha generato nel tempo cicli di erosione e sedimentazione». Sempre un po’ più a ovest più distanti dalla Costa Calabra, nel Mar Tirreno e nel Canale di Sicilia – vanno ricordati il Marsili (il più grande vulcano d’Europa, con una lunghezza di circa 70 km e una larghezza di 30 km, con 3 mila metri di altezza dal fondale), Vavilov, Magnaghi e i più piccoli Palinuro, Glauco, Eolo, Sisifo. A questo per completezza dell’analisi introduttiva aggiungo che la Calabria detiene il 10% dell’intero patrimonio costiero dell’Italia (715,7 km[2]), e presenta la più grande ed esclusiva varietà di spiagge formate da rocce diverse, come ad esempio gli scogli granitici della provincia reggina, del tirreno vibonese, e dello ionio catanzarese. Tali rocce sono presenti in misura minore anche in alcune località isolane del mar Mediterraneo (come ad esempio in Sardegna). Il litorale calabrese è infatti costituito praticamente da rocce di ogni era geologica, da quelle metamorfiche risalenti alle ere più antiche, alle dune di attuale formazione. Quindi, cosa si può chiedere di più per un appassionato di Viewing Stones, se non abitare in un luogo del genere. Se si va a mare o in montagna, o per fiumi o per valli, ti capita di trovare di tutto ed i tuoi occhi persi in un infinito di natura da cercare… Se interessati vi rinvio al successivo articolo in cui non si parlerà di metamorfiche, ma di sedimentarie, spostandoci dai massicci granitici di Sila ed Aspromonte verso l’Appennino calabro. Aldo Marchese MARCHESE
Rocca del Coccodrillo (Serpentino – Calabria)

La Dolomia scura di Calabria

Quando si parla di Dolomie, l’immaginazione ci riporta dietro ad un mare tropicale che mutò la sua fisionomia centinaia di milioni di anni fa. Il risultato straordinario è visibile in quella parte di Alpi Orientali denominate “Dolomiti” e che sono a ragion d’essere patrimonio dell’ Unesco. Ma questo mare poco profondo e caldo era presente anche ad un migliaio di km più a sud, rispetto la futura catena delle Alpi.
Le caratteristiche sopra riportate di questo mare favorivano la produzione di sedimenti diversi, quest’ultimi probabilmente generati da presunte barriere coralline, che nel corso del tempo sono diventate rocce, attraverso il ruolo di alcuni batteri e della loro attività biologica di eliminazione prima, e di fissazione dopo dei minerali. Rispetto a quella alpina più famosa, la dolomia calabrese è grigia scura a volte tendente al nero. Ciò è dovuto alla loro origine fossilifera, piene di materia organica, che se scheggiate o strofinate puzzano, con un odore simile ad uova marce, un odore di anidride solforosa che la caratterizza, al punto tale da essere dagli antichi definita “pietra cattiva”, proprio per l’odore non piacevole. A volte se scheggiata e avvicinata con un accendino emana una fiamma azzurrognola per una frazione di secondo. Ma l’odore sparisce immediatamente quando non la si sfriziona.
DOLOMIE CALABRESI
Le dolomie calabresi, sono presenti a nord e sud della regione, hanno un’origine che risale al Triassico di affinità appenninica, riconducibile a due momenti:
1. Il primo, relativo ad una sedimentazione chimica di tipo calcareo, in cui questi sedimenti formatisi su fondali marini, innescavano la loro reazione chimica con la sostituzione dell’atomo di calcio con quello di magnesio, formando una stratificazione rocciosa che diventava man mano più spessa; 
2. Un secondo momento, successivo all’era Triassica, caratterizzato da un’elevata ed intensa sismicità, con sollevamenti di oltre 1 m/anno, che ha comportato un innalzamento del fondale marino, fino a formare la crosta appenninica calabrese, accoppiandola ai massicci granitici già presenti di Sila ed Aspromonte. 
Tale sostituzione dell’atomo di calcio con quello di magnesio si nota, con la scarsa reazione che queste pietre hanno se trattate con dosi del 5% di acido muriatico, rispetto al calcare tipico. In esse c’è una minore capacità reattiva. Si presta moltissimo alle lavorazioni, sia come oggetto d’arredo che come rivestimenti di interni ed esterni, un esempio su tutti, le colonne della cattedrale di Gerace (RC).
IL RITROVAMENTO 

In una di queste montagne a 1500 metri s.l.m. , proprio sulla vetta Vi presento la pietra di cui sotto. Un ritrovamento che risale al 2014, sempre in buona e costante compagnia. In essa erano presenti molti licheni. Il tipico sfrizionamento del neofita che cerca di capire in loco (come un primate che cerca di scoprire un oggetto) e la sua produzione nauseabonda mi fecero all’epoca incuriosire non poco e misi la stessa in uno zaino protetta.
Quel giorno raccolsi altre pietre cavia per capire come meglio effettuare la pulizia di questo materiale, essendo completamente privo d’informazioni. Ebbene, rifiuta le spazzole di metallo, a meno che non vogliate fare insufflazioni di zolfo. A parte tutto, il metallo graffia la pelle in modo serio. Per questo optai per delle spazzole dure di nylon e grande pazienza.
Ultimata la pulizia ed essendo una pietra porosa la tenni a casa per sviluppare il suo yoseki. Le altre pulite e lasciate all’esterno tendevano ad inverdire molto facilmente, specie in ambienti umidi. Inoltre, averla a casa a portata di camino, aiuta molto il suo maturare una patina naturale.
La dimensione di questo suiseki è di cm. 30 x 10 x 10 (h). La pietra è stata esposta a due mostre nel 2018 a distanza di pochi mesi, con un daiza diverso rispetto la foto , con dei piedini leggermente più alti e con un piede centrale sul fronte. In entrambe le mostre i giudici, pur apprezzando la pietra mi diedero lo stesso suggerimento, un daiza con dei piedini più bassi e senza piede centrale. Questo ad avvalorare lo scopo principale delle mostre, i confronti atti a migliorare ulteriormente l’estetica. Il suo percorso è stato avviato, ora attendiamo entrambi (io e la pietra) ulteriori suggerimenti (sempre ben accetti), spero migliori con il tempo la sua patina. Nel frattempo mi terrà compagnia durante le mie serate, con il piacere di pensare che milioni di anni fa questa materia era in un fondo ad un mare tropicale a pochi km da casa.
Aldo Marchese

Indirizzo

Associazione Bonsai e Suiseki 
"Perla dello Jonio"
Via della Resistenza 77
 Catanzaro


Contatti

Email: info@bonsaicalabria.it 
bonsaiesuisekiperladellojonio@pec.it

Tel.: 331-3670332
 

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